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Breve introduzione ai negativi di carta

La domanda sorge spontanea: perché utilizzare i negativi di carta fotografica, al posto della pellicola o di un sensore digitale? Sono sicuro che arrivati alla fine di questo articolo avrete ben chiara la risposta, ma intanto lasciate che anticipi un paio di cose:

  • Sono estremamente economici
  • Hanno una resa stratosferica
  • Vi costringeranno ad imparare alcuni fondamenti della fotografia

Ma non è tutto oro quel che luccica, come vedremo a breve. Quindi: cosa sono i negativi di carta?

IL NEGATIVO DI CARTA BIANCO E NERO

Utilizzare la carta fotografica direttamente in una macchina fotografica e svilupparla produce un negativo. Semplice. La carta fotografia salta subito alla mente per l’utilizzo in camera oscura in fase di stampa, ma non è l’unico utilizzo che se ne può fare. L’utilizzo come sensore all’interno di una macchina fotografica è possibile, sebbene segua delle regole a volte molto differenti rispetto all’utilizzo tradizionale della pellicola, e radicalmente differenti rispetto alla fotografia digitale. Il processo è quindi semplice: la macchina fotografica viene caricata con della carta fotosensibile, la carta viene esposta alla luce in fase di scatto e poi si procede con le classiche fasi di sviluppo, arresto e fissaggio. Ognuno di questi passaggi ha le sue peculiarità, e con questa guida cercherò di trasmettervi la mia esperienza. Di sicuro non è onnicomprensiva, ma può essere di aiuto a chi vuole cominciare, oppure utilizza già la carta fotografica per ottenere negativi ma gli interessa leggere l’opinione di un altro fotografo. Quindi, procediamo con ordine.

Foresta del Cansiglio
Un esempio di foto con negativo di carta. Foresta del Cansiglio.

QUALE CARTA FOTOGRAFICA SCEGLIERE?

Ci sono diversi produttori di carta fotografica attualmente in attività, e ne cito qui solo alcuni: IlfordAdoxFomaBergger.

E ci sono diversi tipi di carta fotografica commerciale: a rivestimento di resina (RC – Resin Coated) o a base di fibra (FB – Fiber Based). Quello che cambia fra le due è il materiale. Nella carta RC l’emulsione è protetta da uno strato di polietere che conferisce impermeabilità alla carta, consentendole di asciugarsi più rapidamente e di mantenere più facilmente la sua forma. Nella carta FB l’emulsione è contenuta nel mezzo fibroso che compone il foglio. Questo conferisce una maggiore
“profondità” all’immagine e toni più ricchi, ma richiede anche un processamento più delicato in quanto la carta assorbe i composti chimici durante le fasi di sviluppo-arresto-fissaggio, e richiede tempi di lavaggio e asciugatura sensibilmente più lunghi.

La seconda suddivisione delle carte fotografiche riguarda il contrasto: a contrasto fisso o a contrasto
variabile. Per capire cosa significa bisogna scavare brevemente nella composizione chimica delle emulsioni delle carte fotografiche. Le carte a contrasto fisso – “gradate” in diverse gradazioni – hanno un’emulsione che risponde in maniera costante alla luce blu restituendo contrasti a diverse
gradazioni in base alla composizione dell’emulsione, storicamente in 12 livelli da 00 a 5. Le carte “gradate” sono ormai rare, e in gran parte sono state sostituite dalle carte a contrasto variabile. La carta a contrasto variabile è pensata per essere utilizzata in camera oscura insieme a filtri con cui
modificare il rapporto di luce blu/verde che raggiunge la carta. Queste carte hanno infatti tre strati fotosensibili. Ognuno dei tre strati presenta la stessa sensibilità alla luce blu, ma ogni strato ha una diversa sensibilità alla luce verde, da relativamente bassa a relativamente alta. Quando la carta è
esposta a sola luce blu si otterrà quindi un’immagine ad alto contrasto – tutti e tre gli strati hanno reagito al massimo della loro possibilità, essendo tutti ugualmente altamente sensibili –; quando l’esposizione avverrà a sola luce verde si otterrà un’immagine a basso contrasto – uno strato ha reagito poco, uno mediamente e uno molto –. Utilizzando dei filtri interposti fra la fonte di
luce e la carta (come i filtri Ilford) è possibile modificare il rapporto luce blu/verde, ottenendo immagini a diverso contrasto. Un filtro magenta bloccherebbe il verde e farebbe passare il blu à alto contrasto; un filtro giallo bloccherebbe il blu e farebbe passare il verde à basso contrasto;
gradazioni di colore del filtro intermedie danno valori intermedi di contrasto.

Prendiamo l’esempio di Ilford: l’azienda produce oramai solo carte a contrasto variabile. Foma produce ancora carte a contrasto fisso. A voi la scelta per la camera oscura, ma per il campo?

Probabilmente la scelta migliore sarebbe quella di utilizzare carte a contrasto fisso, così da avere una
situazione riproducibile e “fissa”. Personalmente, non ho mai utilizzato le carte a contrasto fisso per produrre negativi di carta, e ho preferito rompermi la testa con le carte a contrasto variabile. Era quello che avevo a disposizione in casa (centinaia di vecchia Ilford MG di mia mamma con alcuni
decenni sulle spalle), e con quello ho continuato. La mia esperienza successiva riguarda quindi la fotografia con carta a contrasto variabile. Che vantaggi ha? Sicuramente che potrete rifornirvi da Ilford e stare relativamente tranquilli sulle forniture, ad un prezzo ad oggi accettabile (2023) (~ 0.40 € a foglio 4” x 5”), ma anche che vi lascerà il brivido del risultato e vi insegnerà a studiare la luce, a valutare quello che avete davanti, a sbagliare e a capire che foto aspettarvi, se fare quella foto e se il mezzo che state usando (la carta) è il mezzo più adatto. È una vita di privazioni, ma che può insegnare molto di più
di quello che toglie.

D’accordo, ma a cosa serve sapere tutto questo? Serve eccome, per evitarsi dei profondi momenti di
scoramento utilizzando la carta per fare foto.

QUALE FORMATO DI CARTA SCEGLIERE

Beh, questo dipende da che fotocamera avete, e dal formato massimo che può accettare. La carta fotografica può essere tranquillamente tagliata e utilizzata in una fotocamera 35 mm, e si spinge comunemente a coprire formati come l’8×10. Nella mia esperienza l’ho utilizzata su fotocamere grande formato (4×5 e 5×7). Una è una vecchia fotocamera 5×7 dei primi del 1900, tramandata in famiglia. Era pensata per essere utilizzata con lastre di vetro, e quindi ho dovuto adattare leggermente i porta-lastre originali per ospitare i fogli di carta (nel mio caso Ilford MG Deluxe, 10.5 x 14.8 cm). L’altra camera è una Intrepid 4×5 MK5, con porta pellicola Toyo. Qui la carta richiede un po’ di lavoro di forbici per essere adattata al leggermente più piccolo 4×5. Ma è uno strumento tanto flessibile ed economico che potete farci un po’ quello che vi pare.

L’ESPOSIZIONE

E qui cominciano i dolori. Partiamo da un concetto fondamentale: la carta fotografica non ha una sensibilità ISO definita come nel caso della pellicola. La sensibilità ISO della carta fotografica è variabile. Agli inizia, questo concetto mi ha confuso non poco. Come è possibile? Leggendo sui forum – luogo di perdizione e covo di informazioni discordati – venivo rimbalzato da persone che valutavano la carta da ISO 2 a ISO 12, passando per gli estremi a ISO 0.5 e ISO 25. Tutto e il suo contrario. Più
leggevo più mi allontanavo dal capire. Perché l’emulsione cambia sensibilità? Perché persone diverse in giro per il mondo indicano sensibilità diverse? La risposta mi è arrivata brutalmente durante il mio soggiorno in Spagna nel 2023, quando buona parte delle fotografie che feci risultarono terribilmente
sovraesposte. La risposta a quelle domande era, ovviamente, sotto il mio naso, ma mi era sfuggita poiché non mi ci ero mai realmente scontrato. Qui sotto il grafico di sensibilità alla luce delle carte Ilford.

Come vedete, c’è una pronunciata sensibilità alla luce fino ai 350 nm, ovvero alla luce ultravioletta (UV). Questo è il fattore che rende la carta fotografica a sensibilità ISO variabile. La radiazione luminosa visibile non è una costante, né spaziale né temporale (pensate alla variazione di colore della luce nell’arco di una giornata), e la radiazione UV è ancora meno costante. Qui sotto c’è un esempio di come varia la radiazione UV nell’arco dell’anno e della giornata, ad esempio a New York.

Immagine1
https://en.wikipedia.org/wiki/Ultraviolet_index

Mentre a questo link potete vedere la previsione di variazione della radiazione UV sull’Europa che i prossimi tre giorni, mentre qui potete lanciare una simulazione del flusso di raggi UV per la vostra zona. Come appare evidente, non solo la radiazione UV cambiare nell’arco della giornata, ma anche con il periodo dell’anno e con la latitudine a cui vi trovate. Anche le nuvole bloccano i raggi UV, ma dipende dallo spessore delle nuvole: può arrivare al 70-80% come a pochi punti percentuali nel caso di nuvole poco dense.

In questi casi, l’esposimetro non è di grande d’aiuto. Gli esposimetri comuni ignorano infatti la radiazione UV, e non vi forniranno quindi alcuna indicazione su quale sia l’esposizione corretta.

Ricapitolando: la carta è sensibile alla radiazione UV, la radiazione UV cambia con latitudine, ora del giorno, periodo dell’anno e copertura del cielo; quindi, la carta varia la sua sensibilità in base a tutti questi fattori.

Da quello che ho osservato nella mia esperienza, seguo questo modus operandi.

1)     Alla mia latitudine (~12° Nord), considero la carta ad ISO 3 in inverno e nelle giornate nuvolose. In queste condizioni, con quantità nulle o molto basse di raggi UV, mi affido all’esposimetro della fotocamera con risultati abbastanza affidabili.

2)     In giornate estive, con foto in pieno sole, considero la carta ad ISO 6-12. La decisione non è semplice, e dipende da quanta luce c’è e della giornata. Una buona indicazione può essere quella di controllare le previsioni dell’indice UV per farsi un’idea (vedi link sopra).

3)     In giornate estive, e con grandi quantità di raggi UV, le ombre risulteranno più luminose, e la scena potrebbe avere un minor contrasto. Questo sembra controintuitivo, dato che con sole battente le ombre estive sono nette e scure. Ma i nostri occhi non vedono i raggi UV, che rimbalzano sulle superfici arrivando all’obiettivo anche dalle zone d’ombra, “illuminandole” (lo scattering è proporzionale a circa l’inverso della quarta potenza della lunghezza d’onda, quindi aumenta inversamente alla lunghezza d’onda: gli UV rimbalzeranno molto più della luce rossa avendo meno della metà della lunghezza d’onda).

4)     In ogni caso, è fondamentale fare esperienza e valutare la luce, e cominciare a familiarizzare con la zona in cui si scatta maggiormente, e con l’ambiente. Ad esempio, un bosco in primavera avrà una predominanza di luce verde, potendo ad esempio ridurre leggermente il contrasto.

5)     Utilizzare filtri. I raggi UV possono essere bloccati utilizzando filtri anti UV da interporre in fronte alla lente o (nel grande formato) anche fra lente e carta/pellicola, perché no? In ogni caso, l’utilizzo dei filtri può ridurre la qualità di immagine rispetto alla lente originale, e non è sempre pratico utilizzarli, specialmente nel grande formato in cui talvolta le lenti impiegate non supportano filtri. I filtri possono anche aiutare a controllare il contrasto. Ad esempio, un filtro giallo bloccherà la luce blu consentendovi di far reagire solo gli elementi sensibili al verde.

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Un esempio di foto ad elevato contrasto su carta Ilford MG "Glossy".

IL CONTRASTO

Abbiamo parlato tanto di contrasto, e per una buona ragione. La latitudine di posa della carta fotografica è decisamente limitata se comparata alla pellicola, e ancora di più se comparata ad un sensore digitale moderno. Questo è dovuto principalmente alla sua bassa sensibilità alla luce. È infatti necessario un numero minimo di fotoni (energia) per spiazzare un elettrone e avviare il processo di formazione dei nuclei di reazione sui cristalli dell’emulsione. In emulsioni poco sensibili serve un quantitativo maggiore di energia per innescare la reazione, e questa soglia energetica non è detto che venga raggiunta dalla poca radiazione luminosa riflessa dalle zone più ombrose. Questo significa che le zone più scure dell’immagine rischieranno di risultare completamente nere, o comunque molto scure, contribuendo ad un elevato grado di contrasto. Anche le alte luci sono ad alto rischio, poiché contengono una maggiore quantità di luce riflessa, e in particolare blu, che può facilmente portare ad una sovra-reazione che in fase di sviluppo “brucerà” le zone luminose. Un tipico negativo di carta fotografica, in una giornata molto luminosa con una elevata differenza di luce fra zone in ombra e zone illuminate, avrà una drammatica perdita di dettaglio. Esistono tuttavia diversi modi di contenere il contrasto ed ottenere più dettagli, li ho descritti in questa pagina.

Se ancora non si fosse capito, le condizioni ideali per utilizzare i negativi di carta sono giornate autunnali, invernali o di inizio primavera, oppure giornate estive con copertura nuvolosa. Scattare all’interno non presenta particolari problemi legati ai raggi UV, ma può richiedere esposizioni molto lunghe a causa della poca sensibilità della carta.

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Esempio di come l'elevato contrasto nativo della carta fotografia, se usato bene e senza venire mitigato, possa restituire immagini splendide.
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Esempio di foto ad elevata predominanza di luce blu scattata con un filtro giallo. L'assenza del filtro avrebbe restituito un negativo ad ancora più elevato contrasto.

LO SVILUPPO

Una volta esposta la vostra carta, è giunto il momento di svilupparla. Tutti i processi possono essere tranquillamente eseguiti sotto luce rossa, essendo l’emulsione della carta fotografica generalmente ortocromatica (molto poco sensibile alla luce rossa). La carta non va comunque tenuta troppo vicina alla fonte di luce rossa, dal momento che sul lungo periodo anche la luce rossa è in grado di provocare una reazione. Il processo di sviluppo è quello classico della carta fotografica (e della pellicola): sviluppo, arresto, fissaggio, lavaggio, asciugatura. Sorge ora una domanda spinosa: che tempi di sviluppo usare? Dovunque leggiate, troverete scritto che la carta fotografica, diversamente dalla pellicola, va sviluppata a completamento. Ovvero, fino alla completa riduzione dell’argento sui cristalli dell’emulsione. Questo è possibile grazie alle caratteristiche fisiche dell’emulsione della carta fotografica, e al suo relativamente scarso contenuto d’argento. Questo principio è sacrosanto, e si applica magnificamente alla stampa. Ma ai negativi di carta? Il discorso è più spinoso. Abbiamo visto quanto possa essere difficile calcolare la corretta esposizione, e quanto sia facile sovraesporre. Alcuni fattori in gioco sono quasi impossibili da tenere in esatta considerazione nella pratica di campo (a meno che non siate così ricchi e forti da potervi trasportare sulle spalle uno spettrofotometro). Per mia esperienza, adotto quindi una serie di accorgimenti che mi aiutano a ottenere comunque un negativo lavorabile. Sono essenzialmente la diluzione del liquido di sviluppo e lo sviluppo a vista. Ad esempio, Ilford consiglia una diluizione del PQ Universal di 1+9 (60”), mentre io adotto 1+19 (80”). Questo mi consente di rallentare il processo di sviluppo, dandomi il tempo di effettuare valutazioni, e su quando eventualmente rimuovere il negativo prima del tempo per salvare il salvabile, o lasciarlo un po’ più a lungo. Gli altri due innegabili vantaggi di utilizzare una minore concentrazione sono il ridotto livello di contrasto e la minore aggressività della soluzione. Il negativo comincerà più lentamente lo sviluppo, dandovi un po’ di sollievo al momento dell’immersione e riducendo il rischio di sviluppi non omogenei.

Uno dei primi negativi di carta che ho scattato. Tre problemi: carta vecchia di almeno 40 anni; sottosviluppo; sviluppo disomogeneo. Un disastro, ma comunque affascinante.
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