Alla ricerca della natura grande, estesa e selvaggia
C’è un bene che in Europa a parer mio scarseggia: i grandi spazi naturali. Parlo delle estensioni di decine, se non centinaia di chilometri fatte di grandezze di cieli, d rupi, cascate, deserti, foreste. Non parlo di una “natura grande”, di quella ne abbiamo in abbondanza, dai pinnacoli delle Alpi, alle cascate del centro Italia, alle scogliere di Francia, Gran Bretagna e Irlanda, ai fiordi scandinavi. No, parlo di una “natura grande, estesa e selvaggia”, e nella quale i polmoni possano espandersi in un respiro quasi infinito. Le mie adorate Alpi sono enormi, standoci appresso le loro pareti bloccano anche i venti furiosi, ma sono quasi domesticate. È frustrante per l’occhio cercare un lembo in cui non si veda la traccia della civilizzazione dell’uomo, passata o presente. Spesso camminando mi costringo a fermare gli occhi ben prima dell’orizzonte, sugli alberi a cento, duecento metri, per non rischiare di incorrere in qualche lavoro d’uomo e ostacolare la mia mente che corre su sentieri selvaggi.
In Spagna ho provato questa sensazione, seppure in forma distillata. Non tanto per l’estensione selvaggia, quanto per il richiamo che le pareti rosse a strapiombo del Cañon Rojo vicino a Teruel hanno fatto: quello di una natura non domabile, in costante crollo, cambiamento, insitamente selvaggia.
Teruel è una città antica, patrimonio UNESCO, isolata e nel mezzo di montagne brulle. Svettano su di lei delle torri bellissime, meravigliosamente decorate, alte sul corso del fiume Turia che da qui ha proseguito scavando le montagne fino al Mar Mediterraneo e all’odierna Valencia.
Poco fuori Teruel sta il Cañon Rojo, una meraviglia naturale che ho avuto la sensazione passi furtiva agli occhi di molti. Ci sono stato per ben tre volte, in giornate festive, senza praticamente trovarvi anima viva. Prima di parlarvene ancora, ecco qualche foto.
Immagino non sia l’unico a cui ha evocato i grandi paesaggi della frontiera nordamericana, ormai impressi nella mente da film e soprattutto, per me, da Tex Willer. La somiglianza è impressionante, e ammetto mi si siano quasi bagnati gli occhi dalla felicità quando ho visto quelle pareti, quelle colline e quelle fessure.
Non sono mai stato in Arizona, o in Colorado. Forse un giorno ci andrò. Cavalcando la scia della commozione, sono stato felicissimo di poterci portare mio padre che nemmeno ha mai visto l’Arizona o il Colorado, ma che di albi di Tex Willer ne ha letti montagne.
Tuttavia, sebbene questi siano grandi, quasi enormi spazi, sono una “natura grande”, non una “natura grande, estesa e selvaggia”. Dalla cima del cañon si scorgeva Teruel, e se non la città strade ed edifici rurali. L’occhio si perdeva su un cielo lunghissimo e larghissimo schiacciato contro il tavoliere in quota della Spagna, ma qua e là spuntavano i tralicci, e coccinelle colorate acceleravano sui serpenti di asfalto.
Anni fa lessi un libro forse troppo lungo e forse ridondante (ammetto che non lo terminai) ma con idee molto interessanti, “L’invenzione della natura selvaggia. Storia di un’idea dal XVIII secolo a oggi” di Franco Brevini. La tesi ruotava attorno all’invenzione stessa del concetto di natura selvaggia, e alla fascinazione che questa idea ebbe in Europa. In sintesi, gli europei del Settecento e dell’Ottocento si si resero conto pienamente che la natura che io chiamo “grande, estesa e selvaggia” era quasi sparita. Che altri erano i luoghi dove frequentarla. La natura selvaggia da ostacolo si era trasformata in fascino proprio per la sua rarità. È per noi europei, e per un cittadino in generale, credo sia ancora possibile cavalcare la stessa sensazione nata secoli fa, quella di un paesaggio naturale compresso, poco esteso, ben sotto il suo potenziale. Raro.
Nel Cañon Rojo ho visto due cieli assolati e uno temporalesco foriero di paura, perché mai vorreste trovarsi fra i calanchi durante un acquazzone. Ho chiuso gli occhi per istanti e con il pensiero ho esteso quel posto per chilometri e chilometri, e rimosso ogni domesticazione. È stato facile, perché se non altro lì la natura era grande, e già mi aiutava un po’.